La felicità
G. Pascoli, Myricae
Quando, all’alba, dall’ombra s’affaccia,
discende le lucide scale
e vanisce; ecco dietro la traccia
d’un fievole sibilo d’ale,
io la inseguo per monti, per piani
nel mare, nel cielo; già in cuore
io la vedo, già tendo le mani,
già tengo la gloria e l’amore.
Ahi! ma solo al tramonto m’appare,
su l’orlo dell’ombra lontano,
e mi sembra in silenzio accennare
lontano, lontano, lontano.
La via fatta, il trascorso dolore,
m’accenna col tacito dito:
improvvisa, con lieve stridore,
discende al silenzio infinito.
Per pochi come per il nonno la felicità era fatta delle piccole cose quotidiane, ma per lui non era un tacito accettare la realtà così com’era.
Lui aveva un’opinione su tutto, e di tutto poteva dire qualcosa. Lui le cose le prendeva e le modificava, niente moriva o si spegneva.
Nelle sue mani, come in un ecosistema infinito e circolare, le cose rotte, usate, finite, che nessuno voleva più, riprendevano la vita.
Le rotelle dei nostri pattini di bambine diventavano i piedi di un tavolo, un cric finiva alla base di un ombrellone da giardino, le ruote di una carrozzina gli servirono per costruire il suo famigerato tagliaerba, con un pezzo di ventilatore faceva il coperchio di una pattumiera, con il manico di una padella, un pezzo di ferro e un pezzo di legno costruiva una paletta, due vecchie porte e qualche scaffale diventavano un armadio, ci aggiustava i giocattoli con i chiodi e, ogni anno, costruiva un diverso presepe, allestendolo in un vecchio televisore rotto.
Lo stesso meccanismo agiva nella sua mente. Le sue idee, i sui principi e i suoi valori erano intoc-cabili, discutendo con lui era impossibile evitare la contestazione. Lui aveva sempre ragione. Ma poi ci accorgevamo che ci aveva ascoltati davvero, che quello che gli dicevamo era per lui come quel paio di pattini che si trasformava, con la stessa naturalezza con cui ci aveva fermamente contestati, ora non solo ci dava ragione con i fatti, ma era evidente che aveva accettato la novità, che la sua mente era giovane ed elastica.
Con gli anni il nonno era diventato saggio. Senza retorica, perché lui non la sopportava. Lo prende-vamo in giro ma noi ne siamo convinti. Il suo dispensare consigli e opinioni non era mai banale, era frutto della sua infinita curiosità per ogni cosa.
Il nonno ha sempre avuto l’età che aveva, non era fuori tempo o fuori luogo, era più che altro senza tempo. A questa saggezza probabilmente aveva sempre teso la mano ma ora l’ha afferrata.
Ci aveva detto quasi tutto. Il tempo che abbiamo trascorso con lui non sarà mai abbastanza ma ci basterà per tutta la vita. Se è vero che vale la qualità e non la quantità, il nonno Rico ha vissuto tanto e a pieno, non è mai stato mediocre.
Ha dato qualcosa a tutti noi, qualcosa di unico e di personale. Il nonno era uno ed era tanti.
Come dice la poesia che gli abbiamo letto, per tutta la vita lui ha indicato la felicità con il dito, ce l’ha sempre avuta davanti, la vediamo in ogni angolo del suo giardino, in ogni cassetto del suo garage, lo vediamo in noi, nella famiglia che ha costruito, nella felicità in cui ci ha lasciato.
Non possiamo essere veramente tristi, perché lui ci ha reso felici.
....parole senza tempo, parole che nel vento trovano casa perchè non hanno una casa. Parole che tutti possono ascoltare e che spesso dimentichiamo esistere, parole assopite che si risvegliano come le foglie in un turbinio di vento, parole che tornano presenti e attuali, come ieri oggi e domani, parole .... che non moriranno mai.
RispondiEliminaGrazie Ale per il blog, continua a donarci i tuoi pensieri e i tuoi scatti.
Non so chi sei, né riesco a identificare tra quelli che di solito riconosco il tuo modo di scrivere, ma grazie mille.
RispondiElimina..rileggere e ritrovare il ricordo; rassicura sapere che e' vivo e che suscita ancora emozione. Il potere delle parole. Il sapere scrivere di un sentimento.
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