martedì 27 aprile 2010

IMMUTABILITA'




La felicità
G. Pascoli, Myricae

Quando, all’alba, dall’ombra s’affaccia,
discende le lucide scale
e vanisce; ecco dietro la traccia
d’un fievole sibilo d’ale,

io la inseguo per monti, per piani
nel mare, nel cielo; già in cuore
io la vedo, già tendo le mani,
già tengo la gloria e l’amore.

Ahi! ma solo al tramonto m’appare,
su l’orlo dell’ombra lontano,
e mi sembra in silenzio accennare
lontano, lontano, lontano.

La via fatta, il trascorso dolore,
m’accenna col tacito dito:
improvvisa, con lieve stridore,
discende al silenzio infinito.

Per pochi come per il nonno la felicità era fatta delle piccole cose quotidiane, ma per lui non era un tacito accettare la realtà così com’era.
Lui aveva un’opinione su tutto, e di tutto poteva dire qualcosa. Lui le cose le prendeva e le modificava, niente moriva o si spegneva.
Nelle sue mani, come in un ecosistema infinito e circolare, le cose rotte, usate, finite, che nessuno voleva più, riprendevano la vita.
Le rotelle dei nostri pattini di bambine diventavano i piedi di un tavolo, un cric finiva alla base di un ombrellone da giardino, le ruote di una carrozzina gli servirono per costruire il suo famigerato tagliaerba, con un pezzo di ventilatore faceva il coperchio di una pattumiera, con il manico di una padella, un pezzo di ferro e un pezzo di legno costruiva una paletta, due vecchie porte e qualche scaffale diventavano un armadio, ci aggiustava i giocattoli con i chiodi e, ogni anno, costruiva un diverso presepe, allestendolo in un vecchio televisore rotto.

Lo stesso meccanismo agiva nella sua mente. Le sue idee, i sui principi e i suoi valori erano intoc-cabili, discutendo con lui era impossibile evitare la contestazione. Lui aveva sempre ragione. Ma poi ci accorgevamo che ci aveva ascoltati davvero, che quello che gli dicevamo era per lui come quel paio di pattini che si trasformava, con la stessa naturalezza con cui ci aveva fermamente contestati, ora non solo ci dava ragione con i fatti, ma era evidente che aveva accettato la novità, che la sua mente era giovane ed elastica.

Con gli anni il nonno era diventato saggio. Senza retorica, perché lui non la sopportava. Lo prende-vamo in giro ma noi ne siamo convinti. Il suo dispensare consigli e opinioni non era mai banale, era frutto della sua infinita curiosità per ogni cosa.
Il nonno ha sempre avuto l’età che aveva, non era fuori tempo o fuori luogo, era più che altro senza tempo. A questa saggezza probabilmente aveva sempre teso la mano ma ora l’ha afferrata.
Ci aveva detto quasi tutto. Il tempo che abbiamo trascorso con lui non sarà mai abbastanza ma ci basterà per tutta la vita. Se è vero che vale la qualità e non la quantità, il nonno Rico ha vissuto tanto e a pieno, non è mai stato mediocre.
Ha dato qualcosa a tutti noi, qualcosa di unico e di personale. Il nonno era uno ed era tanti.
Come dice la poesia che gli abbiamo letto, per tutta la vita lui ha indicato la felicità con il dito, ce l’ha sempre avuta davanti, la vediamo in ogni angolo del suo giardino, in ogni cassetto del suo garage, lo vediamo in noi, nella famiglia che ha costruito, nella felicità in cui ci ha lasciato.

Non possiamo essere veramente tristi, perché lui ci ha reso felici.

sabato 17 aprile 2010

TUTTOSTELLA!











Tutta una serie di cose in cui mi sono imbattuta studiando mi si è incagliata nello stesso punto del cervello. In quel punto c'è il mio senso personale del quotidiano.

Per esempio, L’amica di nonna Speranza e La signorina Felicita. Elenchi in doppi novenari e martelliani di oggetti che leggerli è come averli davanti e provare gli stessi moti di gradimento antiestetico, come se il gradire annullasse l’anti- e l’anti- mettesse alla prova il gradire. Il risultato è qualcosa che non è bello e non è brutto, ma non è nemmeno disperatamente antiestetico:«(…)Venezia ritratta a musaici, gli acquerelli un po’ scialbi,le stampe, i cofani, gli albi dipinti d’anemoni arcaici,le tele di Massimo d’Azeglio, le miniature,i dagherottìpi: figure sognanti in perplessità,il gran lampadario vetusto che pende in mezzo al salonee illumina il quarzo le buone cose di pessimo gusto,(…)»Per esempio ancora, quel quotidiano assemblarsi nel linguaggio che crea l’eccezione senza essere fricchettone (dopo aver letto Gozzano è come non aver fame e aprirsi lo stomaco con un tarallo, e la rima ti s’infila dritta, elementare), e leggo, sempre per esempio, un libro recente di Amos Oz, Non dire notte, e ci trovo scritto:«Ha fatto una frittata con la cipolla, si è prodotto in un’insalata geometrica, (…)»Mi colpisce “insalata geometrica” ma il cervello mi parte sul “si è prodotto”: penso al si riflessivo associato al verbo produrre, e mi dico che è come se lui avesse messo qualcosa di sé in quell’insalata, sennò la Loewenthal avrebbe tradotto “ha prodotto”, togliendogli pure quella sfumatura ironica che per me è una droga.E infine penso anche ad Anna Karenina, preoccupata della noia.

giovedì 8 aprile 2010

Illusion of immutability





"Grazie a Dio, mi sembra tutto come al solito", pensò il Principe scendendo dalla carrozza.
G.T. di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, Milano 1997, p. 66.

sabato 3 aprile 2010

PENSANDO AI RTRATTI












Nel ritratto, come lo intendo io, la conditiosinequanon è l'assenza di ipocrisia.
In questo periodo riesce a irritarmi quasi più dell'ingiustizia: dev'essere che l'ingiustizia è una cosa grossa, l'ipocrisia è quotidiana, e piccola, e si insinua nelle crepe e nelle pieghe.

venerdì 2 aprile 2010

MISSPELLED




Un po' di tempo fa ho formulato alcuni pensieri che mi frullano in testa da sempre. Chiunque potrebbe dire che "ho del buon tempo", e sarebbe un'espressione molto calzante e molto brescianstyle.
Chiunque, ma non chi mi conosce bene.
Il punto di partenza di quello che ho scritto è un famoso racconto di Gianni Rodari, A levargli l'acca. Per chi ama la carta è nel Libro degli errori, sennò c'è Google.
Perché le CHIESE, rimaste senz’acca, crollarono sotto i bombardamenti? Perché le CIESE non esistono, è una parola senza significato!

Acca – non già consonante afona – non toglie di per sé il significato alla parola nel momento in cui il nostro interlocutore la comprende per assonanza (associazione mentale per mezzo del suono): la parola non perde il significato (come concetto astratto) né perde il suo significato (nella sua fattispecie).

Perché dal cielo caddero giù i CHERUBINI? Perché a levargli l’acca, era stato come levargli le ali: i CERUBINI non esistono!
L’essere e i suoi attributi: il non essere implica la non esistenza degli attributi. I cerubini caddero giù perché non esistono, ma il non esistere implica ogni suo attributo, e quindi anche le ali, perciò i cerubini non hanno comunque le ali, e quindi non possono volare, e quindi caddero giù.

Perché le chiavi [a levargli l’acca] non aprivano più? Perché se le CIAVI non sono CHIAVI, non possono aprire le porte!
La comprensione è lo spazio tra la parola e il suo significato.
L’errore di ortografia non è maleducazione (perché non permette, potenzialmente, al nostro interlocutore di capirci) nel momento in cui il nostro interlocutore, per associazione dovuta all’assonanza, comprende (comunque) il significato della parola.
Dunque: i cerubini esistono, e qualche volta l’errore crea il discrimine tra il parlare con sapore e il parlare senza sapore.

giovedì 1 aprile 2010

I'm not a tourist











A Roma c’è sempre qualcosa di interessante da vedere, o da fare, c’è sempre qualcosa di cui stupirsi o per cui arrabbiarsi.

Per esempio quella foto dello pseudopittore a Piazza Navona l’ho fatta la settimana scorsa per esorcizzare un’arrabbiatura: la primavera è solo iniziata e siamo invasi dai turisti di ogni categoria. I più interessanti sono gli studenti in gita, a volte li invidio, altre mi fanno venire le vesciche ai piedi soltanto a guardarli. Ore di cammino quando l’obiettivo principale è arrivare al dopocena per farsi una birra in camera con i compagni di classe.
Insomma quel giorno dovevo andare a lavorare, erano le cinque del pomeriggio e da Piazza di Spagna dovevo raggiungere, a piedi, Via dell’Anima che è la via parallela a un lato lungo di Piazza Navona. Farlo è come giocare a quel videogioco un po’ anacronistico dove si guida il Ciao del tipo che porta le pizze e dev’essere velocissimo e superare le mille insidie del traffico cittadino. Mi stavano saltando i nervi perché i turisti sono lenti e svampiti, e si muovono in branchi, si fermano sempre all’improvviso attratti da una finestra, un sampietrino, un qualcosa che possa sembrare un monumento fotografabile.
Così ho fotografato anch’io, compiaciuta del fatto di non essere una di loro.


In ogni modo anche nel cortile di casa mia ci sono cose interessanti: quei vasi abbandonati di cui mi approprierò, un’arancia con la muffa, la mia biancheria dopo un trattamento vanish.

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